Non voglio addentrarmi nei temi del P.E. nelle sue diverse e complesse specializzazioni (vedi schema allegato). Mi propongo di focalizzarne un solo settore, quello del “expansion capital” - una formula di notevole successo in Europa – ed illustrare i passaggi-chiave per realizzare un deal con operatori P.E. da parte di una azienda che deve appunto attirare capitali per sostenere le fasi di sviluppo e di cambiamento.
Come é noto, in Europa le aziende familiari di piccola/media dimensione costituiscono ancora oggi “il cuore pulsante” dell’economia. Tali imprese private (nel senso di non quotate) a controllo familiare, che operano prevalentemente in settori maturi dell’economia hanno affrontato o devono affrontare con successo delicati problemi quali:
- il sostegno dell’internazionalizzazione;
- la crescente minaccia competitiva proveniente dai paesi emergenti (chissà perché noi europei ci ostiniamo a chiamare emergenti paesi che crescono a tassi tripli dei nostri e che comprare aziende in casa nostra!);
- il delicato ricambio generazionale nell’ambito della famiglia imprenditrice;
- una struttura dell’azionariato più aperta;
- l’adozione di un sistema di governance moderno ed efficiente.
Pertanto in Europa il P.E ha investito largamente in operazioni di espansione e cambiamento dell’attività imprenditoriale di queste aziende (expansion/replacement capital). Nel 2007/2008 – anni pre-crisi - gli investimenti per numero di casi destinati a tale settore più quello “start-up” sono stati in Europa circa il 68% del totale, il resto essendo costituito dai buy-out/ins e dai seed. Nel 2010/2011, pur a fronte di una diminuzione complessiva di operazioni a seguito delle severe restrizioni sul credito, che hanno creato difficoltà notevoli sia di sostenibilità alle predette aziende sia di fundraising da parte dei fondi di P.E., il dato è sceso di circa 7 p.p., quindi con un ribasso contenuto.
In questo comparto si è distinta in modo particolare l’Italia tanto che si è parlato di un approccio all’investimento del P.E. del tipo “Italian way”, sostanzialmente diverso da quelli praticati nei paesi anglo-sassoni. Basti per tutti citare il gruppo Marazzi, leader mondiale delle piastrelle, o il gruppo Ferretti leader nelle imbarcazioni di lusso.
Riteniamo che gli imprenditori ed i managers delle aziende in questione debbano costantemente avere in testa l’alternativa di vendere una quota di partecipazione (di maggioranza; di minoranza; a cluster ), .Nel seguito di questo articolo ci proponiamo di offrire una check list di azioni derivate dall’ esperienza, con il messaggio finale che non vi è niente di “magic” nelle stesse e che la struttura aziendale può benissimo attrezzarsi per affrontare direttamente tale processo ridimensionando il ricorso ad esperti esterni.
Nel caso di acquisizione di quote minoritarie e comunque non totalitarie, la prima loro decisione è se:
“E’ meglio l’acquirente industriale o quello finanziario?”
Per la tipologia di aziende di cui parliamo mi sento di affermare che, salvo specifiche situazioni, il partner finanziario rappresenti una soluzione più efficiente di quello industriale. Con questi ultimi, a parte l’indubbio vantaggio di conoscere il business se si tratta di un competitore o un fornitore, sussistono probabili temi di conflittualità quali l’allocazione del management, l’appropriazione delle eventuali sinergie fra i due business, ecc, I tempi poi sono più lunghi con il partner industriale per mancanza di un procedimento strutturato quale quello insito nel know-how del P.E.
IPO, PRE-IPO o Private Equity?
Se l’obbiettivo dell’azienda è l’espansione o il cambiamento/turnaround, comunque un processo da portare avanti in tempi brevi- medi, il P.E. risulta la via più flessibile. Anche gli adempimenti formali e sostanziali sono inferior.
Quale partner?
Sussistono criteri oggettivi di scelta quali la dimensione dell’azienda, la sua presenza internazionale attuale e prospettica ,ecc. Anche una fase di intelligence sul operatore P.E. è necessaria (da quanti anni opera nel paese; risultati delle precedenti operazioni; opinioni degli imprenditori coinvolti). Una decisione basata solo su “quello che paga di più” non è necessariamente la migliore.
Conoscere sé stessi ed il Partner potenziale. Interagire sui principi.
Si è disposti ad un confronto con il partner sulle decisioni operative e strategiche? Si devono comprendere le sue esigenze, modalità operative, tempistiche. Identificare l”investment owner” - chi seguirà la partecipazione – puntando ad un rapporto di trasparenza/fiducia con lo stesso. Esplicitare da subito gli obbiettivi (anche economici) che si vogliono raggiungere e le condizioni fondamentali per l’imprenditore. Definire nel dettaglio ruoli e funzioni delle due parti; “chi fa che cosa”. Definire i tempi di permanenza del partner e i meccanismi di uscita (way-out) per lui disponibili.
Negoziare il prezzo “firm and clean” (se del caso con aiuto di consulenti)
Affrontare il tema della valutazione il prima possibile ma avendo le idee chiare sui possibili range di valori e sui supporti tecnico/valutativi a sostegno, predisposti dai tecnici interni o esterni. Il Business Plan ben strutturato, sufficientemente aggressivo ma con sostenibili argomenti, (nessuna proiezione tipo“hockey stick”), è il riferimento principale. “Avere in tasca” i meccanismi che servono a avvicinare le parti; p.e. clausole di “earns out” (il prezzo viene parzialmente legato alla realizzazione dei risultati futuri); di “waterfall” ,ecc.
Accordarsi su gli assetti societari ed organizzativi
I principali: (a) Concordare i criteri di Governance ed i poteri dei soggetti coinvolti, compresi i membri della famiglia dell’imprenditore operanti in azienda. Definire le deleghe del AD ed impegnarsi a rispettarle (b) Adottare adeguati meccanismi di incentivazione e di valutazione del management (c) Semplificare l’organizzazione di gruppo (d) Rafforzare il management. Insomma, identificare le debolezze dell’organizzazione e operare per migliorarle.
Accordarsi sulle guidelines strategiche e di espansione internazionale
A parte alcune direttive strategiche di principio, tali azioni devono risultare dal lavoro di un team con presenza del partner P.E. e operante in modo strutturato nei primi “cento giorni” della partnership. Anche i criteri di selezione delle possibili acquisizioni saranno definiti in coerenza con le realistiche possibilità dell’azienda. Dovranno essere utilizzati al massimo le relazioni e esperienze internazionali del partner.
In conclusione, far evolvere il rapporto verso un ruolo di partner di business, non di finanziatore.
Quanto ho detto non induca tuttavia a generalizzazioni: le strategie negoziali possono e devono essere molto diverse in relazione non solo alla tipologia del deal ma al fatto che anche gli operatori di P.E. praticano approcci agli investimenti notevolmente diversi fra loro: Tutte le fasi del processo devono quindi risultare coerenti con le fasi descritte ma adattate al raggiungimento dell’obbiettivo finale.
Una riflessione finale riferita al Vostro grande paese. A quanto mi risulta la presenza dei fondi P.E. si sta sviluppando con un certo ritardo (secondo dati PwC, in Brasile i fondi P.E. fino al 2008 avevano partecipato a meno del 20% delle operazioni di M&A mentre nel 2010 sono stati presenti nel 41% delle operazioni che in quell’anno hanno registrato il record. Inoltre gli operatori di P.E. sono rappresentati soprattutto dai giganti mondiali (Carlyle, Advent, KKr, ecc) probabilmente da rapportare alla grande dimensione delle multinazionali o imprese brasiliane principal protagoniste di queste operazioni.
Ritengo che la presenza di fondi P.E. a dimensione più ridotta e soprattutto con specializzazione nei singoli comparti qurfra cui “Expansion Capital” possa trovare campo fertile nelle imprese e imprenditori brasiliani pronti alle sfide della globalizzazione favoriti da un sistema economico sempre più aperto alle imprese emergenti. Anche perché queste accettano di scommettere in settori (pe: cemento, siderurgia, consumo, ecc) che gli imprenditori americani ed europei considerano maturi per il minor peso dell’innovazione tecnologica; ma in cui la ricetta del successo è una profonda innovazione nel modello operativo o di gestione come dimostrato da diverse storie di successo.